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Sicilia in prima linea contro l'epatite C, ad Aci Castello nuove prospettive di cura

Il prof. Antonio Craxì

Nuove possibilità di cura per i pazienti positivi al virus HCV dell'epatite C con una speranza di riuscita del 95%. A discuterne i maggior esperti nel campo dell'epatologia riuniti nei giorni scorsi ad Aci Castello. Tra gli obiettivi dell'Organizzazione Mondiale di Sanità quello di eliminare l'infezione entro il 2030 attraverso dei precisi setting.

In Sicilia sono oltre 15.000 e circa 2.200 quelli in attesa di trattamento, scelti sulla base degli 11 criteri di prioritizzazione stabiliti da AIFA.

La Sicilia rappresenta senza dubbio un modello virtuoso nella definizione dei percorsi terapeutici e nell’erogazione delle cure: la rete HCV Sicilia, riconosciuta con decreto della Regione, è in grado di collegare in maniera telematica i centri ospedalieri del territorio autorizzati alla diagnosi e alla terapia dell’HCV, consentendo così di identificare i pazienti con infezione cronica da virus, di definire lo stadio della malattia e allocare i pazienti alla terapia per loro indicata con appropriatezza.

“Al momento attuale stiamo assistendo ad un cambiamento molto importante a livello normativo, ovvero l’aggiunta da parte di AIFA del criterio 12 per il trattamento dei pazienti con Epatite C cronica. Si tratta di un notevole passo avanti che consentirà ai medici di utilizzare un criterio diagnostico in grado di facilitare l’accesso alle cure – ha affermato Antonio Craxì, ordinario di Gastroenterologia all'Università di Palermo –  I pazienti, infatti, potranno essere diagnosticati e avviati al trattamento in assenza di uno screening estensivo, come ad esempio il Fibroscan. Per ora questa metodologia si applicherà solo alle terapie antivirali di ultima generazione pangenotipici e riguarderà solo alcuni contesti, quali i serD (servizi pubblici per le dipendenze patologiche del Sistema Sanitario Nazionale) e le carceri.”

In particolare queste categorie di pazienti meritano un’attenzione particolare in termini di prevenzione e di cura, perché a più alto rischio di trasmissione dell’infezione.

“Da un punto di vista epidemiologico e di sanità pubblica occorrerebbe prendere in considerazione le categorie con un’alta probabilità di trasmettere il virus a persone siero-negative: la prevalenza di epatite C è stimata tra il 7.4% e il 38% su un totale di 56mila detenuti in Italia, tra l’altro queste persone sono spesso co-infette HIV-HCV, hanno altre co-morbosità e sono costrette ad assumere numerosi farmaci che possono portare problemi di aderenza alla terapia e di interazioni farmacologiche spesso difficili da prevedere, quindi sono pazienti che necessitano un monitoraggio molto attento”, ha aggiunto Craxì.

I pazienti affetti da HIV e HCV sono sicuramente esposti a un rischio più alto di malattie epatiche ed extraepatiche (cardiovascolari, renali, ossee e del sistema nervoso centrale), rispetto al paziente mono infetto, quindi necessitano di un trattamento in fase precoce per il controllo dell’infezione da HCV.

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