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L'amore difficile, 2 ragazzi uccisi: una storia siciliana per il debutto da regista di Beppe Fiorello

«Questa mia prima regia nasce da un articolo che celebrava il trentennale del delitto Giarre, un caso che non conoscevo. Mi è scattato così un grande senso di colpa: mi sentivo, in quanto siciliano, corresponsabile di quello che era successo». Così Giuseppe Fiorello parla di Stranizza d’Amuri, suo primo film da regista, in sala dal 23 marzo con Bim, ispirato al duplice omicidio commesso il 31 ottobre 1980 a Giarre (Catania), quando Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola scomparsi da due settimane, furono trovati morti, mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola alla testa.
Un caso fondamentale nella storia del movimento di liberazione omosessuale italiano in quanto portò alla fondazione del primo circolo Arcigay. E ancora Beppe Fiorello: «Nonostante il tema, non volevo dare messaggi, ma casomai fare un inno alla vita. E poi anche io ho amato tanto i miei amici, anche l’amicizia è una forma d’amore, ma senza sesso».

Stranizza d’Amuri ci porta nella Sicilia del 1982. Mentre le tv trasmettono i mondiali di calcio, due adolescenti, Gianni (Samuele Segreto) e Nino (Gabriele Pizzurro), si incontrano per caso e sognano di vivere il loro amore senza paura. Una cosa quest’ultima che non può sottrarsi al pregiudizio del paese e delle rispettive famiglie. Il film prodotto da IblaFilm con Fenix Entertainment e Rai Cinema e girato tra Noto, Marzamemi e Priolo, ha anche nel cast: Fabrizia Sacchi, Simona Malato, Antonio De Matteo, Enrico Roccaforte, Roberto Salemi, Giuseppe Spata, Anita Pomario e Giuseppe Lo Piccolo. Stranizza d’Amuri, che prende il titolo dal brano omonimo di Franco Battiato, ha poi le musiche di Giovanni Caccamo e Leonardo Milani.

«In questo film - ci tiene a dire Beppe Fiorello, 54 anni - ci sono comunque tanti ricordi della mia adolescenza, c'è una parte di me. Volevo fare una storia universale e non nascondo che mi sono ispirato a quel capolavoro che è Roma di Alfonso Cuaron. Lui più volte ha detto che ha guardato alla sua famiglia e così mi ha suggerito di ambientarlo nel 1982, anno importante per l'Italia, quando il nostro Paese vince i mondiali».

Le indagini sul caso di Giarre? «C'è stato un inizio d’indagine, ma molto timido - spiega Fiorello -. Si è parlato, di volta in volta, di omicidio-suicidio, un modo questo per lavarsi meglio la coscienza». Differenza tra cinema e tv? «Dipende dalla storia, ma prima della storia conta l’esperienza emotiva e sensoriale. Una cosa è vedere un film in sala condividendo l’esperienza con gli altri e un’altra vederlo sul divano di casa». E le serie tv? «Per me sta diventando una cosa patologica. Vedo quattro o cinque puntate alla volta, le serie tv creano dipendenza, ti ritrovi sveglio fino alle cinque di mattina e poi arriva anche il down come se fosse cocaina. Non solo - conclude Giuseppe Fiorello - a volte ti ritrovi a vedere le serie tv solo per poterne parlare il giorno dopo con gli amici, per far capire che ci sei, che sei informato».

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