Terzo appuntamento del 2022 per AltreScene, la rassegna di arti sceniche contemporanee di Zō centro culture contemporanee di Catania, diretto da Sergio Zinna.
Il 20 febbraio, alle ore 18.30, attenzione viene data alla nuova drammaturgia siciliana con «Il rasoio di Occam» di Giusi Arimatea e Giovanni Maria Currò, con Tino Calabrò, Alessio Bonaffini e Mauro Failla, voci di Antonio Alveario, Ivan Giambirtone ed Elisabeth Agrillo, scenografie e scenotecnica di Franco Currò, regia di Giovanni Maria Currò, aiuto regia di Giusi Arimatea, costumi di Liliana Pispisa, audio e suoni di Carmelo Galletta, grafica di Cinzia Muscolino, foto di scena di Giuseppe Contarini, una produzione Clan degli Attori di Messina.
Dalla radio arrivano anche al Sud i fatti che il 9 maggio 1978 segnarono l’Italia. E nel palcoscenico della grande storia si innesta quella di tre uomini alle prese con una realtà sempre sul punto di travolgerli. Giusi Arimatea e Giovanni Maria Currò: «Custodiamo ricordi frammentari degli anni Settanta. Eravamo ancora bambini, eppure a quelli ci sentiamo intimamente, talora malinconicamente, legati. I tre personaggi protagonisti della storia sono lieti strascichi della nostra memoria. Interessati alle loro anime, abbiamo lasciato si costruissero sulla carta, parola dopo parola, passo dopo passo. E abbiamo preteso che non lo facessero in un giorno qualunque. Il 9 maggio 1978 svela il cadavere di Aldo Moro in via Caetani, nella Renault 4 rossa che diventò il simbolo degli anni di piombo. Una morte eccellente a catalizzare l’attenzione di un’Italia intera. Ed è grazie alla radio che la cronaca nazionale irrompe in un tipico salone da barba del Sud, ove la grande storia per qualche ora si mescola a quella infinitamente “piccola” di tre uomini alle prese con una quotidianità all’apparenza tranquilla e acque interiori sempre sul punto di travolgerli».
Tra le note delle ultime hit del momento, contraltare alle disarmonie dell’esistenza, inconsapevolmente ci si dimena tra ciò che sembra e ciò che realmente è. A quanto pare braccati, eppure liberi per la prima volta di essere. L’isolamento che per taluni vuol dire salvezza per altri è una trappola. E lì mette radici e prospera la frustrazione. Lì sfumano i confini della grande storia e rimane l’uomo, un mondo in miniatura. Unico ponte possibile tra gli individui la parola, atto politico per eccellenza, arredo dei luoghi disabitati dell’anima. Tutto quanto, in una mattina qualunque, direttamente o trasversalmente investe i tre uomini necessita allora una spiegazione. La teoria del rasoio di Occam propenderebbe per quella più semplice.
Ancora Arimatea e Currò: «Avevamo in mente tre personaggi e abbiamo dato loro vita, lavorando su quel testo che li conteneva e che poi è diventato “Il rasoio di Occam”. L’intento era quello di sfiorare appena la realtà degli anni Settanta e piuttosto addentrarci nella psiche di tre diversi individui. Crediamo fortemente nell’incontro con l’altro e nella comunicazione che accorci significativamente le distanze, rendendo tutti un po’ meno soli. Abbiamo così tracciato coordinate ben precise della personalità di ciascuno, quindi li abbiamo gradatamente messi in relazione. Certo è che andava indagato a fondo l’animo di ciascun personaggio e a ciò ci siamo dedicati, noi e gli attori, durante una lunga e imprescindibile fase di studio della drammaturgia. L’idea che stava alla base, prima che ci lavorassimo per il teatro, aveva il medesimo taglio cinematografico al quale ci siamo ispirati a livello registico. Scene, luci, costumi e musiche sono state infatti concepite sulla scorta dell’idea di teatro che avevamo in mente per questo spettacolo. Non sappiamo se può dirsi una sfida portare un po’ di cinema a teatro, ma “Il rasoio di Occam” nasce e cresce entro i margini di questa sfida e non avremmo potuto consegnarlo in altra maniera».
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