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Voleva restare in Ucraina, è dovuto scappare con la moglie: è in Sicilia il lentinese Cirino Spada

Cirino, chi? L’uomo che ha iniziato a lavorare da ragazzo? L’ex sottoufficiale dei paracadutisti «dalla vita sfortunata» che, dopo un lancio bruttissimo, s’è rotto un piede e un braccio? Il lentinese di cinquantacinque anni che aveva ricominciato una nuova vita, lavorativa e professionale, a Kiev? Quello che il 14 febbraio, nella prima intervista apparsa sul Giornale di Sicilia, diceva di «non avere paura» né «alcuna intenzione di tornare in Sicilia», perché, con la moglie Liudmyla, in Ucraina, avevano una casa e un mestiere mentre «giù, non c’è niente, non c’è lavoro»? Adesso in quel niente da cui era partito pieno di speranze, Cirino Spada è stato costretto a tornare per salvarsi la vita. Per proteggersi e proteggere sua moglie che non può che piangere perché a Kiev ha lasciato il figlio diciottenne, la figlia e i due nipotini. La donna ha tentato di convincere Albina a venir via dal casolare di campagna dove, con tutti i parenti ucraini, anche lei e Cirino si erano nascosti dal 28 febbraio: ma la figlia non ha voluto lasciare il fratello che, per ora, non sta bene. Senza più benzina nell’auto che li aveva portati fino a quel luogo sperduto nella nevosa steppa ucraina (di cui non si sapevano neanche le coordinate esatte) fin dalla fine di febbraio, terrorizzati da bombe e spari che sentivano sempre più vicini a loro, senza quasi nulla da mangiare o con cui riscaldarsi, Cirino stasera, con la moglie Liudmyla, è atterrato all’aeroporto di Fontanarossa, accolto dalla Croce rossa italiana di Francofonte.

Il volo è stato pagato da Enjoy transfer Italia di Verona (che collabora col gruppo di volontari dell’associazione Graf ideata da Giovanni Guarino di Caltanissetta) così come vitto e alloggio per i due giorni trascorsi da Cirino a Varsavia, in un Ibis hotel, e un po’ di zloty per pagare il costo del tampone Covid, comprarsi qualcosa da mangiare e un minimo di indumenti personali: perché Cirino e la moglie sono partiti con i soli vestiti che avevano addosso quando stavano nascosti nel casolare. Da quindici giorni chi vi scrive lo ha sentito quotidianamente almeno due volte al giorno, ha raccolto le sue confidenze ed è stata testimone (a distanza) delle sue lacrime: di paura e di speranza. E di vergogna. Sì, perché Cirino si vergogna di essere tornato in Sicilia, si vergogna di essere scappato dall’Ucraina mentre altri sono ancora lì a combattere per difendere un Paese sempre più martoriato, si vergogna di dover elemosinare alloggio e lavoro. Proprio lui che era riuscito a ricostruirsi una vita in Ucraina e che adesso, probabilmente, dovrà attendere chissà quanti mesi per tornare a casa. Con la paura di vederla rasa al suolo …

Il lentinese è arrivato psicologicamente stremato, straziato dal dolore: il suo primo tassista, quel ragazzo amico che il 9 marzo all’alba aveva sfidato le bombe e lo aveva portato per 70 chilometri dal casolare a Zytomir, ventiquattro ore dopo, non ha più fatto ritorno a casa. Nella mente di Cirino, al momento, c’è posto solo per il dolore di aver conosciuto un giovane il cui corpo adesso giace straziato su una strada di campagna. Mentre Pawel, l’autista che non chiede soldi, «l’angelo polacco» che Monica dalla provincia di Messina gli ha procurato per portarlo da Zytomir alla frontiera con la Polonia, non si fermerà «fino a quando non arriverà a salvare mille persone». Cirino Spada che non avrebbe mai voluto lasciare Kiev e la sua casa, che cercava di farci capire perché non poteva fare a piedi 70 chilometri con temperature gelide («c’è il coprifuoco, le barricate gli scontri, siamo a piedi, non c’è carburante, non ci sono distributori in questa zona, non ho soldi, come facciamo ad avventurarci? Siamo ormai condannati a restare qua e ci resteremo. Qui la gente spara: come mi sposto a piedi?»). Cirino che pensava di restare nascosto perché si sentiva abbandonato da tutte le istituzioni, che aveva telefonato alla Farnesina per sentirsi dire (anche lui come l’acese Salvatore Torrisi) di prendere i mezzi e andare a Leopoli o «nelle frontiere più vicine».

Stasera il volo che ha preso da Varsavia l’ha riportato in Sicilia. «Grazie, grazie di tutto – dice Cirino che poche ore fa era ancora in terra polacca – adesso che Dio me la mandi buona». La stessa frase che diceva quando mandava i suoi personali reportage, per testimoniare le atrocità della guerra che la sua Ucraina sta vivendo. Lui e la moglie dovranno scrivere, adesso, una nuova pagina della loro storia. Fin qui è andata bene ma, se li si osserva bene, si nota più di una nota di malinconia e di paura. E adesso cosa faranno? Per quanto rimarranno in Sicilia? Quando potranno tornare nella loro casa e alla loro vita, a Kiev? Domande a cui, al momento, può dare risposte.

Ad attendere Cirino e Liudmyla, fuori dall’aeroporto di Fontanarossa, i volontari con Nicoletta Messina, presidente del Comitato di Francofonte di Croce rossa italiana, sempre impegnata in iniziative di promozione della salute. «Sin dal primo contatto – dice – avendo appreso la drammatica situazione in cui si trovavano, ci siamo attivati immediatamente per poterli aiutare con il supporto di Cri nazionale. Grazie a Luciano, un volontario che parla bene l’inglese, la direzione di Cri Ucraina ha fornito indirizzi e numeri per poterli contattare. E stasera abbiamo avuto il piacere di abbracciarli in aeroporto e portarli a Lentini, dove saranno ricevuti nella sede della Croce rossa».

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