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Catania, sequestrati un ristorante e una società al clan Santapaola-Ercolano

CATANIA. I beni aziendali della società 'San Giuliano s.r.l.', tra cui il ristorante 'Pittì di Via Antonino di Sangiuliano, nel centro storico di Catania, sono stati sequestrati dalla Polizia, su ordine del Gip al termine di indagini dalle quali l'attività di ristorazione è risultata riconducibile a Salvatore Caruso, di 62 anni, uno degli arrestati, insieme a Roberto Vacante, di 53 anni, nell'ambito dell'operazione «Bulldog», condotta nei confronti di 15 presunti esponenti della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano.

Secondo gli investigatori la società «San Giuliano srl», proprietaria del ristorante, sarebbe riconducibile a Caruso e la gestione del 'Pittì sarebbe stata fittiziamente attribuita al socio unico Gianluca Silvestro Giordano, di 37 anni, compagno della figlia di Caruso, Melinda, di 32. Secondo gli investigatori inoltre sarebbero stati distratti circa 100 mila euro dalle casse di un'altra attività di ristorazione già di proprietà di Caruso sottoposta a sequestro nell'ambito dell'operazione «Bulldog» e il denaro sarebbe confluito nel finanziamento dell'operazione «Pitti».

A Salvatore Caruso e alla figlia Melinda ed al suo compagno Gianluca Silvestro Giordano è stato contestato il reato di intestazione fittizia di beni. A Giuseppe Caruso, figlio di Salvatore, è stata contestata l'appropriazione
indebita di circa 85.000 euro distratti da altra attività di ristorazione attualmente sotto sequestro giudiziario. A Gianluca Silvestro Giordano è stata contestata la truffa ai danni dello Stato per essersi appropriato, con artifizi, di generi alimentari destinati ad altra attività di ristorazione sottoposta a sequestro giudiziario. A Francesco Salamone, Giordano e alla compagna è stata ontestata l'appropriazione
indebita con il sistema della mancata fatturazione di parte degli incassi derivanti da un'altra attività di ristorazione sottoposta a sequestro giudiziario. A Giordano e Melinda Caruso è stata anche contestata l'appropriazione indebita, con l'utilizzo di un 'POS' mobile collegato ad un conto corrente intestato alla società che gestiva il «Pitti», di parte degli incassi derivanti dall'altra attività di ristorazione sottoposta
a sequestro giudiziario.

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