La 26enne arrestata dalla polizia a Catania per l'omicidio del figlio di tre mesi, che avrebbe scaraventato a terra a casa, ha risposto alle domande del Gip Giuseppina Montuori, ma è "in uno stato confusionale" perché "non sta bene" e ha "bisogno di assistenza e di aiuto".
Lo ha detto il suo legale, l'avvocato Luigi Zinno, uscendo dal carcere di piazza Lanza, a conclusione dell'interrogatorio di garanzia alla presenza del Pm Fabio Saponara. Secondo il penalista la "detenzione in carcere non è compatibile con lo stato di salute della signora", che, ha auspicato, "deve andare in una struttura, in una comunità".
Il legale reputa non realistico il reato di "omicidio volontario" che la Procura contesta alla 26enne, che, invece, sostiene il penalista, "è una donna che sta male".
"Di quel momento non ricorda molto, ma il bambino lo ha sempre voluto - ha ribadito l'avvocato Zinno - e alla domanda se mai avesse pensato di abortire, lei ha detto di no. Si è resa conto di quello che ha fatto, ma non che il lancio potesse provocare la morte del bimbo".
"Ha momenti di vuoto - ha osservato il legale - anche oggi mentre veniva interrogata davanti al Gip, alcune domande neanche le ha capite. Sia l'accusa che la difesa - ha concluso il penalista - concordano sul fatto che serve il trasferimento in una struttura adatta".
Il piccolo "non è certo caduto casualmente dalle braccia della madre" ed ha "lesioni di tale gravità da far ritenere con ogni verosimiglianza che sia stato sbattuto a terra con enorme violenza e ripetutamente", ha scritto il Gip nell'ordinanza di custodia cautelare che dispone il carcere per la 26enne accusata di avere ucciso il figlio di tre mesi scaraventandolo a terra nella sua casa di Catania.
Il giudice sottolinea che la sua valutazione è tratta da "affermazioni degli stessi medici che lo hanno tenuto in cura e dal medico legale che ha eseguito l'autopsia" che ha depositato una primissima relazione dalla quale "emergeva la presenza di svariate fratture della teca e della fossa cranica".
Dai rilievi, osserva il Gip, si rileva "la particolare efferatezza della condotta tenuta dall'indagata e la non completa veridicità neppure della dichiarazione dalla stessa resa in sede di interrogatorio assistito, che può e deve ritenersi solo parzialmente confessoria".
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