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Catania, ex killer di mafia: "13 omicidi, piango ancora per un panettiere innocente"

Roberto Cannavò

«Ho commesso 13 omicidi. Ho pianto tantissimo per un panettiere di 18 anni, Filippo Parisi, ucciso per sbaglio. Era marzo 1991 e ancora oggi ci penso giorno e notte. La sua mamma ha il diritto di odiarmi fino alla fine dei suoi giorni». Sono le parole di Roberto Cannavò, 53 anni di Catania, ex killer di mafia e "uomo d'onore" del clan di Santo Mazzei e poi arrestato nel febbraio 1993.

In una lunga intervista al Corriere della sera, Cannavò racconta l'inizio della sua "carriera" in cosa nostra, i furti, i delitti, il carcere e poi, il pentimento. «Sono in libertà condizionale da due mesi - dice -. Di giorno lavoro, di notte ho l’obbligo di rimanere a casa. Sto scontando l’ergastolo per associazione mafiosa e per gli omicidi».

Il suo ingresso nella criminalità organizzata ha inizio poco dopo l'omicidio del padre «Era l’8 marzo del 1984, quando avevo 17 anni e sognavo ancora di avere un’officina meccanica tutta mia. Quel giorno mio padre fu ucciso, a 38 anni, per un errore di persona. Ero arrabbiato e cominciai a fare danni in giro», racconta al Corriere della sera.

In poco tempo, diventò «uno che aveva come punti di riferimento miti negativi, assassini, gente che mi faceva sentire grande e potente. Ho cominciato con qualche furto, uno dietro l’altro. Poi rapine. Diventare una pedina della criminalità organizzata, è stato un attimo. Io sono stato un affiliato, ho fatto il giuramento a Cosa nostra».

Nell'aprile del 1991 diventa "ufficialmente" un "uomo d'onore". Nel 1992 arrestano Santo Mazzei, il capomafia del suo clan.  «A un certo punto Mazzei stesso mi mandò a dire dalla cella che sarei dovuto andare a Mazara del Vallo a parlare con certa gente. Ci andai. E lì mi dissero: ora che Santo non c’è più devi prendere tu le sue redini. A quel punto mi sono spaventato, ma non potevo dire di no. Per fortuna nel febbraio del ‘93 mi hanno arrestato ed è finito tutto», racconta.

Non bastarono i primi 13 anni di carcere a farlo pentire. Il cambiamento arriva invece con i due anni di isolamento diurno tra il 2006  e il 2008. Ma anche per la decisione della prima figlia che, dopo averlo incontrato, decide di non vederlo più. «Allora ho cominciato i percorsi formativi - racconta ancora al Corriere - per dare un valore a quei pensieri nuovi. Ho chiesto la mediazione penale con tutti i parenti delle mie vittime, ma non ho ancora avuto risposta da nessuno. Mi metto a disposizione di queste persone per capire assieme a loro se e come posso alleviare il loro dolore. Non chiedo il loro perdono perché sono imperdonabile. Io sto cercando solo di restituire al mondo un po’ di bene, adesso che so che cos’è il bene».

 

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