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Il blitz antidroga di Catania, la regola dei clan: dovevano essere i clienti a scegliere lo spacciatore

Oltre ai 46 arrestati, ci sono anche venti indagati: a loro è stata evitata la misura personale perché non c'erano esigenze cautelari

Oltre ai 46 arrestati, ci sono altri 20 indagati nell’ambito dell’inchiesta che ha portato stamane a Catania all’operazione antidroga ribattezzata «Malerba». A venti persone, infatti, è stato notificato l’avviso di conclusione indagini preliminari. Nei loro confronti, pur essendo stata riconosciuta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, non sono state emesse misure cautelari personali per assenza di esigenze cautelari.

L’operazione Malerba ha consentito di disarticolare i vari gruppi criminali che gestivano numerose piazze di spaccio di sostanze stupefacenti (cocaina e marijuana) nel popoloso quartiere di San Giovanni Galermo di Catania, le quali costituiscono la principale fonte di guadagno per la criminalità organizzata radicata sul territorio. È stato accertato come Cosa nostra catanese, nonostante le continue operazioni di polizia sul territorio, sfruttando la peculiare morfologia dell’area, caratterizzata da complessi edilizi «chiusi», non facilmente permeabili dalle forze di polizia, come via Capo Passero, continua a controllare il territorio e ad imporre ai singoli sodalizi criminali regole, prezzo e quantitativo della droga da smerciare, creando un vero e proprio sistema di controllo del mercato.

L’indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e condotta da marzo 2021 ad aprile 2022 dal nucleo operativo della compagnia carabinieri di Catania Fontanarossa si pone in continuità con la maxi operazione Skanderbeg, che nel 2020 ha visto l’arresto di 101 soggetti, e si sviluppa da una qualificata attività di osservazione a distanza svolta affiancata da una parallela attività tecnica di intercettazione e da numerosi riscontri oggettivi (arresti in flagranza di reato, controllo degli acquirenti, sequestri di droga, denaro e armi), permettendo in tal modo di ricostruire il modus operandi delle piazze di spaccio, delineando struttura ed organigramma dei vari sodalizi criminali che vi operavano, alternandosi in diversi turni orari nell’arco dell’intera giornata, con una copertura h 24.

Secondo l’impostazione accusatoria, accolta dal gip, al vertice dell’associazione criminale, col ruolo di coordinatore e supervisore di molte piazze di spaccio, vi sarebbe il pluripregiudicato Antonino Raimondo, responsabile della fornitura, in modo esclusivo e continuativo, della sostanza stupefacente per conto del gruppo Nizza, inserito nella famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano. L’imponente e lucroso traffico illecito di stupefacenti ha dunque garantito la pacifica convivenza di organizzazioni criminali ben strutturate, che avevano stipulato un accordo teso ad evitare la concorrenza sleale tra le piazze di spaccio e l’insorgere di possibili conflitti tra gruppi mafiosi. Ad esempio, in base alle regole sulla leale concorrenza di mercato imposte dai clan, i pusher su strada non possono chiamare gli automobilisti-acquirenti che giungono lungo la via. Questi possono autonomamente scegliere la piazza di spaccio cui rivolgersi.

Alcune piazze di spaccio attive senza soluzione di continuità, consentivano a circa 2.500 clienti giornalieri, di acquistare a qualsiasi ora la loro dose quotidiana di marijuana, cocaina o crack, incrementando con proventi di tutte le piazze di spaccio il volume d’affari della criminalità organizzata, per circa 240.000 euro al giorno, prevalentemente destinati al sostentamento degli associati ed al mantenimento dei detenuti mafiosi e delle loro famiglie. La piazza di spaccio veniva gestita da un responsabile (chiamato capo piazza), al quale il coordinatore delle piazze (Raimondo) avrebbe assegnato una determinata fascia oraria nella quale organizzare la vendita di stupefacente. Nell’ambito di tali turni predefiniti il responsabile di ciascuna piazza individuava gli addetti alle cessioni (pusher) che, coadiuvati dai corrieri responsabili del trasporto dello stupefacente dal luogo di stoccaggio al luogo di vendita, dagli addetti alla custodia delle sostanze stupefacenti (che avveniva in abitazioni limitrofe o altri luoghi) e dalle vedette che li avvisavano tempestivamente per consentire loro una fuga immediata, ponevano in essere innumerevoli cessioni di stupefacenti, nell’ordine delle centinaia per ogni turno. La fitta rete di vedette radiocollegate - sia quelle statiche all’interno di abitazioni private o sulle terrazze dei palazzi, sia quelle dinamiche operanti su strada a bordo di motocicli messi a disposizione dalle organizzazioni e preposte al controllo delle vie di accesso carrabili e pedonali - garantiva un servizio a favore dell’intera collettività criminale del quartiere, retribuito dai responsabili di tutte le piazze di spaccio.

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