Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha chiesto all’Ispettorato generale di avviare urgenti accertamenti preliminari sul duplice femminicidio che sarebbe stato compiuto a Riposto, in provincia di Catania, da un detenuto ergastolano in permesso premio che poi si è tolto la vita. Gli accertamenti riguardano le «licenze» che aveva ottenuto Salvatore Turi La Motta, 63 anni, che stava scontando una condanna «fine pena mai» per associazione mafiosa e omicidio. Sarebbe stato lui a uccidere, ieri, Carmelina Melina Marino, di 48 anni, freddata nella sua auto sul lungomare Pantano, e Santa Castorina, di 50, assassinata sul marciapiede della centralissima via Roma. Il duplice femminicidio è stato compiuto all'ultimo giorno di un permesso premio di una settimana: sarebbe dovuto rientrare ieri sera - 11 febbraio - nel carcere di Augusta, dove era detenuto in regime di semilibertà. I permessi premio sarebbero stati firmati dal magistrato di sorveglianza di Siracusa, da cui dipende per territorio il penitenziario.
«Capisco l’iniziativa - commenta il legale di La Motta, l'avvocato Antonino Cristofero Alessi - ma non avviene che i permessi premi li regalino, il mio assistito ne usufruiva da molti anni. Durante il Covid non rientrava in carcere ad Augusta, ma dormiva a casa da familiari a Riposto». Questo perché, spiega il penalista, il 63enne l’ergastolano, detenuto dal 2000, «aveva avuto un percorso rieducativo, tenendo una buona condotta. E in questo percorso, il mio cliente - rivela il legale - mi aveva raccontato che, quando non lo assistevo ancora io, aveva avuto modo di incontrare il Papa. Era felice di questo ricordo». Per il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, sarebbe stato meglio che non lo avessero concesso», ritenendo che «la tragedia siciliana è figlia di un permissivismo che va messo in archivio».
Intanto, prosegue il lavoro dei carabinieri della compagnia di Giarre e del nucleo investigativo del Comando provinciale di Catania sul caso. Elementi utili potrebbero venire dall’analisi di tabulati telefonici, messaggi e social network. Dal loro incrocio potrebbe emergere il movente del duplice femminicidio di Riposto e del suicidio dell’ergastolano Turi La Motta. Ne sono convinti gli investigatori che indagano sul caso, anche se qualcosa sarebbe già emerso: i tre si conoscevano. E prende corpo anche la tesi che La Motta avesse avuto una relazione con le due donne, che non erano sposate. Ma sono ipotesi che al momento non trovano conferme ufficiali.
Maggiori chiarimenti sulla dinamica dei due femminicidi verranno dalla visione dei filmati di sicurezza delle zone coinvolte che sono stati sequestrati e da altri che verranno acquisiti. Nelle immagini delle telecamere di un’area di servizio, acquisite dai carabinieri, si vede il primo delitto: Melina Marino è sulla propria auto parcheggiata lungo la strada, l'omicida, dopo essere sceso dal veicolo guidato da un’altra persona, raggiunge velocemente la donna seduta sul lato guidatore, apre la portiera lato passeggero e sporgendosi nell’abitacolo fa fuoco, colpendola mortalmente al volto.
L’auto con cui l’assassino arriva e poi va via è la Volkswagen Golf nera di Luciano Valvo, di 55 anni, fermato ieri sera per concorso nell’omicidio di Melina Marino. Durante l'interrogatorio davanti al sostituto procuratore che lo ha interrogato si è avvalso della facoltà di non rispondere. E la stessa posizione, anticipa il suo difensore, l’avvocato Enzo Iofrida, terrà domani davanti al gip durante l’udienza di convalida: non potrà fare altro, spiega il legale, visto che «l'avviso di interrogatorio è stato notificato oggi, che è domenica, giorno che non consente di recarsi in visita dal proprio assistito, né di visionare gli elementi di accusa a suo carico».
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