Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

La mamma di Elena: «L'ho uccisa senza guardarla». Il gip: «Lucida e calcolatrice»

Martina Patti va via in auto la sera in cui ancora si ipotizzava il rapimento della bambina

Martina Patti, nonostante il tentativo di «lasciar credere di avere agito senza una piena consapevolezza», è una donna «lucida e calcolatrice» e se non arrestata «potrebbe darsi alla fuga» E la piccola Elena, «vittima di una morte violenta particolarmente cruenta e anche lenta», è stata uccisa da una donna che in tutte le fasi dell’omicidio «deve essere stata necessariamente nel pieno delle sue facoltà», trovandosi «in condizioni fisiche e psichiche idonee all’agire». Così il gip di Catania, Daniela Monaco Crea, tra le 15 pagine dell’ordinanza cautelare in carcere emessa nei confronti della 23enne per l’omicidio premeditato aggravato e l'occultamento di cadavere della figlia di 5 anni.

Al gip la donna dice di ricordare che «ho portato Elena in questo campo e le ho fatto del male e non ricordo altro» e di avere «una cosa lunga tipo un coltello, non ricordo dove l’ho preso, non so perché ce l’avevo». E sul momento in cui colpisce la piccola rivela «Non ricordo bene, perché ero girata e non volevo guardare». Aveva una busta nera in testa Elena quando è stata assassinata. L'ipotesi investigativa ha trovato maggiore consistenza dopo che, durante accertamenti medico legali, è stata esaminata la busta con dei tagli compatibili con colpi di coltello. La ricostruzione è stata confermata da fonti della Procura.

«Perché uccidere un figlio in tenera età - scrive il gip - e, quindi indifeso, oltre a integrare un gravissimo delitto, è un comportamento innaturale, ripugnante, eticamente immorale, riprovevole e disprezzabile, per nulla accettabile in alcun contesto... indice di un istinto criminale spiccato e di elevato grado di pericolosità». Il giudice sottolinea che Martina inoltre non ha manifestato segni di pentimento: «ha inscenato il rapimento con estrema lucidità e non ha manifestato segni di ravvedimento e pentimento. Tutti elementi che denotano una particolare spregiudicatezza, insensibilità, assoluta mancanza di resipiscenza».

Nell’ordinanza ci sono i diversi «non ricordo» pronunciati dalla donna: «Non ricordo cosa sia passato nella mia mente quando ho colpito mia figlia, anzi posso dire che non mi è passato nessun pensiero, come se in quel momento fossi una persona diversa», «Non ricordo la reazione della bambina mentre la colpivo, forse era ferma, ma ho un ricordo molto annebbiato», «Non ricordo di avere sotterrato la bambina, ma sicuramente sono stata io». Ma ricorda che «quando sono andata al campo avevo con me una busta di plastica di colore nero che ho strappato dal rotolo prima di uscire di casa».

«L'unica spiegazione logica e plausibile della dinamica degli eventi è quella che Elena sia stata vittima di un preordinato gesto criminoso, meditato e studiato dalla madre», scrive il gip Daniela Monaco Crea nell’ordinanza cautelare in carcere emessa nei confronti di Martina Patti per l’omicidio e l’occultamento del cadavere della figlia. La donna, ricostruisce il giudice nel provvedimento, si era «procurata gli attrezzi per scavare la buca, aveva individuato un luogo impervio e isolato dove seppellire il cadavere». Inoltre, «uscendo da casa in compagnia della figlia ancora viva, aveva portato con sé un coltello e ben cinque sacchi della spazzatura necessari per la completa esecuzione del delitto». Ha poi «occultato l’arma e posto in essere la condotta di lucido depistaggio attuata dopo essersi "ricomposta", condotta che non appare minimamente estemporanea ma che risulta meditata e studiata e conseguenza di una estrema lucidità».

Secondo il gip di Catania il fermo era stato motivato anche dal pericolo di fuga della donna. «Essendo stata la Patti così lucida e calcolatrice ed avendo reso una versione dei fatti tanto articolata - scrive il giudice per le indagini preliminari - effettivamente nel momento in cui è stato disposto il fermo sulla base degli indizi ricavati dalla sua confessione, il giudice ritiene ricorresse la probabilità che potesse anche organizzare una fuga una volta ammessa la sua responsabilità, così da sottrarsi all’esecuzione di eventuali provvedimenti restrittivi emessi a suo carico, ragione per cui il fermo va convalidato».

«La estrema gravità del fatto, le modalità della condotta, la personalità dell’indagata» che «ha inscenato il finto rapimento con estrema lucidità e che, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, non ha manifestato alcun segno positivo di ravvedimento e pentimento, sono tutti elementi che denotano una particolare spregiudicatezza, insensibilità alle regole del vivere civile, assoluta mancanza di resipiscenza ed intensa volizione criminosa», scrive inoltre il gip. «Ciò induce a ritenere sussistente il pericolo di reiterazione criminosa di altri fatti violenti». Il gip ritiene inoltre che «ricorra anche il pericolo di inquinamento probatorio». «Tentativi di inquinare - ricostruisce il giudice - sono stati invero già compiuti sin dai momenti successivi l’omicidio, allorquando Martina Patti ha inscenato il falso rapimento, che ha caparbiamente sostenuto con i familiari e gli inquirenti ed essi potrebbero continuare se l’indagata fosse rimessa in libertà, tenuto conto che le indagini sono ancora in fase inziale». Nella decisione pesano anche quelli che il gip definisce i «perduranti silenzi dell’indagata su aspetti altamente rilevanti dell’indagine» che rischiano di «turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca e inquinando le relative fonti».

Tag:

Caricamento commenti

Commenta la notizia