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Randazzo, il pizzo chiesto da insospettabili. Uno degli arrestati chiamava i cani «Messina» e «Denaro»

Recuperate 3 armi corte e 4 armi lunghe, tutte clandestine, oltre a canne, caricatori e centinaia di munizioni

Armi sequestrate al clan Sangani

L’attività investigativa condotta dai carabinieri, che ha portato all'esecuzione di 21 arresti contro il clan mafioso di Randazzo, avrebbe documentato i reati strumentali al sostentamento della cosca, tra i quali si pongono in evidenza le estorsioni ai danni di imprenditori del Catanese, un fiorente traffico di cocaina, hashish e marijuana, gestito direttamente da Samuele Portale e dai fratelli Francesco e Michael Sangani, con il contributo di Pietro Pagano, nonché un ingente traffico illecito di armi, anche da guerra, costituenti un vero e proprio arsenale, custodite da Marco Portale, fratello di Samuele. A testimonianza dell’indice di mafiosità del clan, i carabinieri segnalano che Samuele Portale aveva chiamato i suoi due cani Messina e Denaro, con chiaro riferimento al superlatitante Matteo Messina Denaro.

Degno di nota poi il controllo, capillare e asfissiante, posto in essere dall’organizzazione criminale ai danni di solide attività economiche, anche attraverso l’imposizione di assunzioni di alcuni sodali del clan in quelle ditte. Altro dato particolarmente significativo ed allarmante è il controllo del territorio esercitato in loco dagli affiliati, i quali, dopo il passaggio delle forze dell’ordine, avrebbero chiesto alle persone del paese i motivi della presenza delle stesse, acquisendo dettagliate informazioni al riguardo. Per quanto riguarda le attività estorsive (condotte in particolare da Salvatore e Francesco Sangani e Samuele Portale), le indagini avrebbero documentato estorsioni che sarebbero state consumate dal sodalizio criminale anche per fare fronte al mantenimento delle famiglie degli affiliati detenuti. Sul modus operandi delle richieste estorsive, va sottolineato come le stesse sarebbero state eseguite da soggetti insospettabili, apparentemente del tutto estranei all’organizzazione criminale, ma chiaramente percepiti dalle vittime come mandati dal clan. In alcuni casi, la richiesta estorsiva veniva annunciata dal sodalizio attraverso la collocazione di una bottiglia contente liquido infiammabile all’esterno della attività commerciale della vittima, accompagnata da un pizzino con la scritta «Cercati l’amico buono».

Al riguardo, nel corso delle attività, i carabinieri sono riusciti a rilevare una dinamica estorsiva che persisteva da lungo tempo, intercettando un soggetto insospettabile che aveva appena riscosso circa 4.000 ero da un imprenditore randazzese. Quest’ultimo, in passato, era già stato vittima di pressanti richieste e di una serie di danneggiamenti.

Nel corso delle investigazioni, a riscontro delle attività svolte, i carabinieri hanno effettuato 15 arresti in flagranza di reato, in una circostanza per detenzione illegale di numerose armi e munizioni anche da guerra e nelle altre quattordici occasioni per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. In particolare, i militari sono riusciti a sequestrare, in relazione agli eventi connessi allo smercio di droga, 3 piantagioni di marijuana (oltre 3500 piante), 15 kg di marijuana, 2 serre per la produzione indoor di piante di canapa, con relativi gruppi di continuità, lampade, fertilizzanti, integratori per piante e riflettori di luce, 1 kg di hashish, 50 grammi di cocaina. Per quanto concerne invece il materiale d’armamento, sono state recuperate 3 armi corte e 4 armi lunghe, tutte clandestine, oltre a canne, caricatori e componenti di armi, anche queste clandestine, nonché centinaia di munizioni di diverso calibro e persino un 1 metaldetector. Quest’ultimo sarebbe stato impiegato dagli indagati allo scopo di potere rinvenire i loro arsenali occultati in profondità nei terreni anche dopo molto tempo, senza dover segnalare, sulla superficie, il luogo deputato al loro sotterramento.

 

 

 

 

 

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