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La bimba morta, sarà ispezionata la casa per scoprire dove è stata uccisa Elena

Venerdì Martina Patti sarà interrogata. Minacce e offese al difensore sui social, l'Ordine degli avvocati si schiera al suo fianco

La casa in cui viveva Elena Del Pozzo

Ha trascorso la prima notte in isolamento, in una cella del carcere di piazza Lanza a Catania - dove è controllata a vista 24 ore al giorno per evitare che possa commettere gesti estremi - Martina Patti, la mamma di Mascalucia che ha ucciso la figlia di 4 anni Elena Del Pozzo: 5 li avrebbe compiuti a luglio. Il corpo della bambina è stato trovato nascosto in cinque sacchi di plastica interrato in un campo incolto vicino all’abitazione della giovane mamma (23 anni). La quale ha detto di averla uccisa in quel luogo, ma gli inquirenti stanno ancora indagando.

Venerdì mattina la giovane madre sarà interrogata dal gip di Catania, che dovrà decidere sulla convalida del fermo, scattato con le accuse di omicidio premeditato pluriaggravato e occultamento di cadavere. La Procura ha anche chiesto per la madre di Elena l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Domani pomeriggio - 16 giugno - è previsto invece il conferimento dell’incarico per l’autopsia sul corpo della piccola. Sempre domani saranno eseguiti rilievi dei carabinieri del Sis del comando provinciale di Catania nella casa di Martina Patti. «I punti da chiarire - spiega il capitano dei carabinieri Salvatore Mancuso - sono il luogo del delitto (se casa o il terreno in cui è stato trovato il corpo, ndr) e l’eventuale responsabilità di altre persone nella commissione dell’omicidio o nell’occultamento del cadavere. Abbiamo fatto verifiche su tutti i familiari stretti, ma al momento non si sono evidenziate anomalie». Nella confessione la donna ha detto di «avere ucciso la figlia sul luogo del ritrovamento» con un coltello. Per il resto, nell’interrogatorio ai carabinieri e alla Procura, dice il suo legale, «non ha saputo ricostruire» cosa è accaduto, perché «era come annebbiata». Per questo l’avvocato Celesti farà valutare la sua assistita da uno psichiatra per poi stabilire se richiedere una perizia.

La bambina, secondo i carabinieri che indagano, sarebbe stata uccisa con un’arma da taglio, perché il corpo aveva ferite compatibili con un coltello da cucina. L’arma però non è stata trovataPer i carabinieri Martina avrebbe premeditato l’omicidio della bambina. Durante l’interrogatorio sarebbe stata impassibile, tranne cedere dopo le contestazioni che le sono state mosse. «In un primo momento era fredda e distaccata - ricostruisce il capitano Mancuso - ma poi ha avuto un cedimento e ha pianto».

L’avvocato Gabriele Celesti, che assiste Martina Patti, è finito nel mirino degli haters (letteralmente odiatori), termine con il quale vengono definiti coloro che sulle piattaforme social urlano e offendono gli altri. Insulti all'avvocato e auguri a soffrire le stesse pene della bambina stanno accompagnando sui social le notizie sull'omicidio di Elena, 5 anni. Lo sottolinea il Consiglio dell’ordine degli avvocati (Coa) di Catania, che interviene su «inaccettabili minacce e aggressioni verbali» nei confronti del legale ricordando che «il ruolo del penalista non è quello di difendere il reato, ma quello di tutelare, sempre, un principio sancito dalla nostra Costituzione».

Il legale stamattina, parlando con i giornalisti fuori dal palazzo di giustizia di Catania, aveva detto che Martina Patti «è una donna sconvolta, certo non una donna fredda e calcolatrice, che piano piano acquisisce il peso di un gesto irreparabile». Parole che potrebbero anticipare una linea di difesa tendente a contestare la premeditazione. E sui social si è scatenata la tempesta. «L'avvocato - osserva il Coa di Catania - costituisce un baluardo fondamentale delle libertà e dei diritti dei cittadini, perché tutti, ma proprio tutti, piaccia o non piaccia ad alcuni, hanno il diritto di essere difesi e di ricevere un giusto processo. E per difesa, ovviamente, non deve intendersi la difesa dell’azione criminale, ma quella tecnica». Il Coa evidenzia come «ogni avvocato senta il peso delle responsabilità che derivano dall’assunzione di un incarico difensivo, ma ha la consapevolezza di svolgere una funzione essenziale ed irrinunciabile per qualsiasi Stato di diritto». E sottolinea come «purtroppo, nell’opinione pubblica si assista sempre più frequentemente all’errata equiparazione dell’avvocato con il proprio assistito, e ciò è, evidentemente, frutto della errata percezione del ruolo e della funzione del difensore, che opera a tutela e garanzia del proprio assistito e dell’intero sistema giustizia». Fenomeni che sui social diventano incontrollabili. «Per questa ragione - chiosa il Coa - l’Ordine degli avvocati di Catania è a fianco del collega oggetto di inaccettabili minacce e aggressioni verbali».

Anche la Camera penale di Catania reputa «inaccettabili, oltre che illecite, le minacce rivolte al difensore della signora Patti». Ricorda che «il difensore, a cui si manifesta oggi incondizionata solidarietà, è chiamato a svolgere e coltivare un irrinunciabile diritto costituzionale: il diritto di difesa; eguale per tutti e per ogni fatto e che costituisce la vera garanzia per la legittimità del processo e dei suoi esiti». «Esiti - aggiunge il direttivo della Camera penale di Catania - che vanno comunque tenuti indenni da condizionamenti e da pressioni che nulla hanno a che vedere con il processo penale». Il documento conclude ricordando che «la tematica degli avvocati minacciati rappresenta uno dei punti fondamentali del progetto di garanzia portato avanti da diversi anni dall’avvocatura e dall’Unione delle Camere penali italiane».

E chissà che al processo l'avvocato non si ritrovi davanti una controparte inattesa, ovvero l'associazione dei padri separati. «Siamo sconvolti e ci costituiremo parte civile nel procedimento penale», annuncia l’associazione Paterfamilias-Padri Separati di Catania che si «unisce al dolore del padre e a quello dei nonni per la sconvolgente scomparsa della piccola Elena». Per l'associazione «i bambini devono essere maggiormente tutelati - come affermano il presidente Francesco Navarria e la vicepresidente Elena Cassella - e bisogna iniziare ad affrontare il problema a 360 gradi e analizzare in maniera più approfondita le vicende familiari, dove anche le madri molto spesso commettono violenza domestica, spesso invisibile: è arrivato il momento di parlare di violenza "in genere" e non "di genere"». Per i due avvocati «il caso della piccola Elena è purtroppo un esempio, non certamente unico, da analizzare per trovare i rimedi ed evitare il verificarsi di ulteriori episodi. Anche in questo caso la madre aveva denunciato il padre. L'associazione Paterfamilias-Padri Separati di Catania - concludono - si unisce al dolore del padre e a quello dei nonni per la sconvolgente scomparsa della piccola Elena».

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