L’intensissima attività effusiva dell’Etna, giunta oggi al suo dodicesimo parossismo in uno spazio brevissimo di tempo, ha ricoperto i territori di 43 Comuni pedemontani di una spessa coltre di cenere e lapilli di svariate centinaia di migliaia di tonnellate. Mentre sono in corso i lavori di raccolta, cade ancora altro materiale e sembra una strada senza via d’uscita il problema dello smaltimento, soprattutto dal punto di vista dei costi.
Eppure, ci potrebbero essere delle soluzioni che farebbero considerare la cenere vulcanica una risorsa piuttosto che un peso insopportabile per le casse dei Comuni e della Regione.
Abbiamo intervistato i professori Germana Barone e Paolo Mazzoleni, ordinari di Georisorse minerarie e Applicazioni mineralogico-petrografiche per l’ambiente ed i beni culturali – Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali Università di Catania, che hanno avviato e sviluppato degli studi in questo senso.
Professori, molti centri etnei, in questi giorni stanno facendo i conti con lo smaltimento della copiosissima coltre di cenere e lapilli che li ha letteralmente ricoperti. I singoli cittadini, ma anche le amministrazioni comunali locali stanno affrontando sacrifici e costi elevatissimi perchè il materiale lapideo ha lo status giuridico di “inerte” se non di “rifiuto speciale”. Lo scorso anno nel corso di un incontro su nuovi usi della pietra lavica organizzato dall'Associazione Ingegneri Ionico Etnei, avete dato una serie di informazioni circa il riuso della cenere vulcanica tramite la sua conversione in quelli che ha chiamato "geopolimeri".
E’ quindi vero che la cenere dell’Etna può essere considerata risorsa e non solamente “disgrazia”?
«Grazie ad un finanziamento progetto AGM for CuHe iniziato 2 anni fa è stato possibile testare, per la prima volta, le ceneri vulcaniche dell’Etna nel processo di produzione di materiali di nuova generazione noti come geopolimeri. Questi materiali sono stati inventati nel secolo scorso come alternative ai cementi e sono composti da una componente solida o precursore e una liquida che funge da attivatore. Le ceneri vulcaniche, dunque, una volta macinate opportunamente, possono essere impiegate come precursore per la produzione, a temperatura ambiente, di leganti e malte geopolimeriche con eccellenti caratteristiche fisico-meccaniche anche migliori di quelle comunemente utilizzate in edilizia nel nostro territorio. La ricerca naturalmente non è conclusa ma i risultati ottenuti in laboratorio sono molto promettenti e stiamo testando il loro utilizzo anche su edifici storici come materiali di restauro. Proprio in questi giorni abbiamo concluso un intervento con l’uso dei nostri geopolimeri nel recupero di una parte del Duomo di Monreale e siamo molto soddisfatti. Siamo confidenti sulla possibilità che questi materiali possano essere brevettati in tempi brevi permettendo uno sfruttamento delle ceneri vulcaniche con una ricaduta positiva per l’economia locale rendendo lo scarto una risorsa».
Qual è il sistema utile per il riciclaggio e cosa comporterebbe?
«Le prove che abbiamo fatto in laboratorio hanno il vantaggio anche di non prevedere delle complesse operazioni di modifica o trattamento delle ceneri. L’unica operazione, oltre la raccolta, è la macinazione perché questa rende il materiale più attivo nella reazione per la produzione dei geopolimeri. I reggenti chimici utilizzati sono largamente prodotti dalla industria e quindi accessibili a costi non elevati tali da rendere il prodotto assolutamente competitivo sul mercato».
Il materiale ottenuto dal riciclo in quali settori può essere efficacemente utilizzato?
«I materiali geopolimerici come accennato prima sono estremamente versatili poiché riproducibili a partire da diverse materie prime (es. scarti naturali o industriali). Il settore a cui sono maggiormente rivolti è quello dell’edilizia essendo ottimi leganti per le malte. Nello specifico, possono essere inoltre pensati per la produzione di materiali molto importanti quali ceramiche high-tech, rivestimenti protettivi e materiali refrattari o addirittura per l'incapsulamento di rifiuti pericolosi. Il vantaggio della tecnologia proposta è la grandissima versatilità che permette di produrre materiali con caratteristiche molto differenti ad esempio stiamo studiando leganti estremamente porosi che possono trovare ampio utilizzo in edilizia. Un altro utilizzo può essere quello della riproduzioni di parti architettoniche di aspetto identico a quello delle rocce vulcaniche etnee».
Esistono già in altre parti del mondo esempi virtuosi dai quali attingere ed è possibile secondo voi creare una normativa ad hoc in Sicilia?
«In diversi paesi i materiali geopolimerici principalmente, a base di scarti industriali sono già largamente utilizzati nel concreto nel mondo sono anche in opere molto importanti ed impegnative quali ad esempio il rifacimento dell’aeroporto di Brisbane West Wellcamp (Australia) e una parte del porto di Johannesburg. Le aziende che si occupano della produzione di cementi geopolimimerici a livello mondiale si localizzano principalmente in Australia, USA, India, Sud Africa e UK».
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